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Role libera per Ashara e Doris

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    Non farti notare, le avevano detto.
    'Come dovrei fare? Sono una quarren!'
    Più che una quarren, un essere tentacoluto. Era quella caratteristica che la definiva agli occhi degli alieni. Quella strana attrazione di molti alieni per i tentacoli... Difficile capire come o perché, ma li volevano.
    Doveva imparare la discrezione per quando, in missione, gli spazi vuoti sarebbero stati riempiti dalle sue intuizioni.
    Gli approcci e le procedure. Ovviamente sapeva la teoria e non le mancava del tutto la pratica, solo che il suo sogno infantile che tutto accelerasse da solo fino all'apice dell'azione continuava a mettersi in mezzo.
    Le avevano assegnato una zona di transizione tra la città alta e quella bassa. Punto d'interesse: una piazza sospetto teatro di spaccio. I cadetti scherzavano su incarichi come quello. Dicevano che la minaccia c'era, sì... venti anni prima. Ripescati dagli archivi, quei punti di interesse erano come caramelle gettate ai bambini oltre le recinzioni di casa.
    Trovò un edificio adatto per stabilirsi. Un albergo pre-iperluce oppure che simulava la decrepitezza, un rudere modernizzato, una cosa inguardabile.
    Prima lo studiò di giorno - di notte c'era più vita sia dentro che fuori. Da brontolii lamentosi che filtravano dal pianterreno cominciò a credere che il portiere cadesse in sonnolini imbarazzanti... finché non vide riversarsi in strada un ospite con al guinzaglio un cuccioli di bantha, la chiara fonte di quei versi.
    Poi la svolta con l'arrivo della band sgangherata.
    Si presentò poco dopo con una custodia nera per chitarra elettrica.
    Per i corridoi diretta alla sua camera numero 43, penultimo piano, sola con il suo fucile sfilò come se conoscesse quei tappeti preistorici e polverosi da sempre.
    Nello zaino un computer che avrebbe registrato le sue rilevazioni e le avrebbe fatto da compagno rockettaro per dare lustro alla sua copertura. Si sentiva sia stupida sia cool per questo dettaglio aggiuntivo.
    Da allora non poteva lasciare la stanza e ordinò quasi esclusivamente pizza coi gamberetti perché era la migliore offerta nell'arco di chilometri.
    La leggenda dei cadetti sembrava calzare in quel caso, perché dopo giorni di appostamenti l'unico dato interessante era l'assoluta bruttezza di tutti i visitatori della piazza, quelli senza cappuccio, bavagli o il viso sempre magicamente in ombra.
    Avrebbe dovuto prendere due camere per avere più visuale, ma era tardi. Se nella comune bruttezza c'era uno schema, era al di là dell'indolenza che si era impossessata di Doris.
    Aveva scavato il pavimento a forza di passeggiare, si era buttata e ributtata sul divano con le mani sulla pancia e le gambe giù diagonali come una statua tecnicamente elegante solo nella metà bassa.
    Quando un insetto penetrò la sua zannetta perseverante e silenziosa in un poro della pelle di Doris, lei balzò su e fu sul punto di mettersi a litigare... con un insetto.
    Si fermò in tempo e tornò in postazione con la dolcezza gracchiante della chitarra e la penombra ad avvolgerla. Sera, luci bianchissime roteanti sulla terrazza di un altro albergo a nord-ovest. Il computer registrava tutto quello che non aveva da dire...
    Quei fari da festa dissennata era la prima volta che li vedeva.
    Ma una luce più breve, acuta e bassa non apparteneva a nessuna festa...
    Un secondo dopo era ancora alla postazione, sì, ma solo con le mani aggrappate al fucile. La testa e lo sguardo premevano sotto la finestra. La testa che ancora aveva ruotò indietro verso la parete opposta e il nuovo elemento di design: un tipo di foro che conosceva bene.
    Un fucile da cecchino di tutto punto.
    La chitarra con lo shock era svanita... e ora tornava con due note attaccate, l'ultima trattenuta, una specie di allegro annuncio...

    Balenuvola

    Edited by Proper - 4/2/2024, 17:13
     
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    Ashara si trovava all'esterno dell'hotel, in uno spazio di cui al momento non riusciva a intuire precisamente i confini ma che doveva comunque essere una specie di enorme stanza appartenente a un edificio molto più grande di quelli che al momento poteva vedere. Non era abituata ad essere completamente circondata da gigantesche costruzioni, anche sopra e sotto, a perdita d'occhio e ben oltre la sua capacità di comprensione. Si sentì sminuita... l'intero pianeta sembrava voler insultare la sua intelligenza con la sua assurda complessità. Tirò un calcio a una bottiglia abbandonata per terra e la guardò finire oltre la balaustra, verso le luci degli edifici sottostanti. Si ritrovò a sperare che potesse cadere in testa a qualcuno tanto barbaro da riuscire ad apprezzare sinceramente Coruscant. Il cuore della Repubblica era un'immensa, affollata, rumorosa e soprattutto puzzolente città dal passato che la sith disprezzava ardentemente e dal presente che non riusciva minimamente ad apprezzare.

    Si era ritrovata lì solo perché un inviato di una potente famiglia hutt doveva incontrarsi con un altro misterioso barbaro in zona e lei, insieme ad altri cacciatori di taglie, era stata assunta per garantire la sua sicurezza sul posto. Ashara aveva accettato il lavoro solo perché non aveva crediti e perché gli hutt erano i barbari più affidabili della galassia, quando si trattava di sopravvivenza... almeno della loro, dal momento che, a quanto ne sapeva, erano sempre esistiti.

    Il suo compito era di restare in una zona predeterminata e, in caso di problemi, seguire gli ordini di un altro cacciatore di taglie, considerato più affidabile di lei e sicuramente molto meglio pagato. Ovviamente sperava che non ci sarebbero stati problemi. Coperta da un lungo mantello nero con cappuccio e dal viso nascosto da un lembo di stoffa, la sith teneva nella mano sinistra, guantata come la destra, il comunicatore sicuro fornitole dal committente, che quasi come volesse farle un dispetto iniziò a gracchiare con la voce del maledetto con fucile e tuta scintillante a cui era stata assegnata.

    «Tu... Maris. C'è un tiratore al quarto piano dell'hotel Zorya, nella tua zona»

    Sapeva bene dove fosse il posto, avendo studiato per ore e ore la mappa che le avevano fornito mentre ascoltava decadente musica house hutt. Alzò lo sguardo sull'edificio che aveva di fianco a sé e serrò le labbra dietro il lembo di stoffa che le nascondeva il viso, colma di disappunto. Avvicinò il comunicatore alla bocca.

    «Sono dietro hotel Zorya... adesso» rispose. Aveva un forte accento, ma per sua fortuna quasi nessuno nella galassia poteva capire quale.

    «Allora muovi le chiappe e raggiungi la stanza 44... no, aspetta, la 43... e fallo fuori. Quarto piano. Ti conviene non metterci troppo... e cerca di non attirare l'attenzione. Se ha degli amici chiedi rinforzi. Ti coprirò da qui»

    Si chiese come avesse fatto l'altro a determinare il numero della stanza dalla posizione della finestra, poi strinse a pugno la mano libera. Un tiratore doveva per forza essere armato, altrimenti cosa avrebbe mai potuto tirare? Riceveva sempre incarichi schifosi...

    «Non dire tu a me di muovere le chiappe, hm? Ci vado... subito, anche... e vedi che devi dire tu a loro che devono pagare me di più... e devi tu stare attento a non prendere me invece di lui»

    Era suonata seccata perché lo era: quel maledetto barbaro era stato terribilmente irrispettoso. Estrasse la pistola dalla fondina ed entrò nell'hotel dal retro, dopo aver tolto la sicura. Impugnava l'arma con la sinistra. Teneva la sua spada decorata appesa al fianco destro, sotto il mantello. Salì le scale, non appena le trovò, finché non raggiunse il quarto piano, dai corridoi deserti. Fortunatamente non aveva incontrato nessuno, lungo il tragitto, o quasi sicuramente avrebbe sparato. Camminando velocemente, si ritrovò davanti alla porta chiusa della camera 43. Avrebbe dovuto aprirla. I fucili erano molto pericolosi anche a quella distanza, ma probabilmente il suo obiettivo era ancora impegnato vicino a una delle finestre. Sparò al pannello di controllo, sperando che la porta fosse progettata in modo da bloccarsi aperta in caso di sovraccarico, ma così non era e la porta restò tragicamente chiusa. Accorgendosi di aver commesso un errore, ringhiò sommessamente e si abbassò per evitare eventuali colpi dall'interno della camera. Si guardò intorno, disperatamente. C'era un buco in un muro... un muro molto sottile! Forse lo erano anche tutti gli altri? Si alzò, passò la pistola nella destra ed estrasse la spada con la sinistra, poi prese la rincorsa e diede una fortissima spallata al muro di fianco alla porta di metallo con il numero 43 stampato sopra. Attraverso il cartongesso, finì rumorosamente dentro alla camera di Doris, in una sorprendente nube di polvere. Spianò subito la pistola, tossicchiando. Sparò un paio di colpi a caso, sperando che avrebbero colpito chiunque si fosse trovato all'interno o l'avessero almeno spaventato abbastanza da impedirgli di spararle a sua volta. Le faceva malissimo la spalla destra e probabilmente si era anche tagliata con un chiodo.

    Edited by Balenuvola - 11/1/2024, 23:05
     
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    Il primo pensiero era stato: 'Non è possibile avere problemi anche durante missioni così insignificanti!'. E questo forse la diceva lunga sul tipo di militare che era Doris. Da una parte, avrebbe voluto spegnere la musica e urlare a tutti quanti, anche al cecchino a chissà quale distanza, di fermarsi perché lei per una volta non stava facendo niente di male.
    La concitazione poteva piacerle in due casi: quando non la riguardava e... basta. Allora, in un solo caso. Che la osservasse dall'esterno senza essere un'attrice attiva, oppure essendo un'attrice attiva, causandola, comunque lei non doveva essere invischiata. Non voleva fare la musona o la guastafeste, un po' di bailamme piaceva anche a lei, ma non quando aveva alle spalle una finestra e quella finestra era incorniciato il mirino di un cecchino che stava aspettando soltanto lei.
    C'era anche un altro motivo per cui voleva fermare tutto. Voleva poter considerare per bene tutti gli elementi interessanti, in quanto qualcuno aveva appena sfondato un muro... Quel qualcuno conosceva l'albergo oppure era un abile osservatore perché non era possibile che l'assaltatore avesse passato i precedenti minuti a sbattere stupidamente la spalla contro il muro per saggiarlo - lo avrebbe sentito. Poteva trattarsi di un giochetto escogitato dai suoi superiori per metterla alla prova, ma il brivido provato scampando al proiettile le suggeriva che era meglio sbarrare quell'ipotesi.
    Scommetteva che l'intruso fosse l'anima della festa tra i suoi amici. Probabilmente era anche il tuttofare. Abbattersi contro una parete in quel modo dimostrava una disposizione ad agire, diciamo, particolare, e di qui la presa di petto di qualsiasi minuzia. Forse però era un tuttofare non molto brillante per quel problemino con la rudezza. Pensò anche all'intruso in termini di risorsa, pure non sapendo bene da dove le venne quel pensiero o a cosa potesse servirle.
    Naturalmente alcune cose la preoccupavano, ma la sfida necessariamente andava accettata, non solo per goliardia.
    Mentre il muro finiva di andare in pezzettini, lei aveva agguantato il fucile portandolo con sé dietro il letto, ai suoi piedi. Così evitò i due colpi che andarono a vuoto. Non poteva aspettare e non aveva buone idee ed entrambe le cose erano decisamente vere. Quindi approfittando della cortina di polvere ed essendo sicura di non essere stata individuata, saltò fuori dal nascondiglio e agitò il fucile per colpire con la canna lunga la mano dell'intruso e liberare la pistola dalla sua presa. Si pentì della mossa successiva quando ancora non l'aveva completata dato che, saltando fuori, aveva acquisito informazioni che prima non aveva, non per certo. L'informazione più importante era: questa persona è grande. Non il massimo quando tenti, premendo il fucile orizzontale contro il suo sterno, di gettarla sul letto con un solo movimento.
    Se avesse fallito il risultato sarebbe stato un semplice colpo bizzarro allo sterno e una sua vicinanza e posizione goffa all'avversario, offrendosi praticamente alle sue braccia.
    La beffa era che la sua azione doveva essere veloce, perché la finestra e il cecchino oltre di essa erano ancora lì.
    E intanto la chitarra dava una beata e divertita prova della propria abilità scalando nuovi, stretti acuti...
     
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    Il dolore si allungò rapidamente lungo il braccio destro di Ashara, fino al gomito, facendosi intanto più intenso, ma la sith, grazie all'agitazione che aveva in corpo, poteva ancora muovere decentemente l'arto - o, almeno, voleva credere di poterlo fare. La sua agitazione era naturalmente lo stesso misto di rabbia e paura che aveva provato in ogni battaglia che avesse combattuto; una reazione unicamente determinata dall'identificazione di un nemico mortale presente e che innescava ormai infallibilmente in lei istinti acquisiti adatti a combattimenti con armi bianche in un deserto e quasi a nessun'altra situazione, anche se tutti gli scontri in cui si era ritrovata da quando aveva lasciato il proprio pianeta natale erano stati caratterizzati da armi moderne e si erano svolti in luoghi per lei estremamente strani. La lotta in cui si era cacciata in quel momento non faceva eccezione e proprio per questo la guerriera si era trovata da subito in difficoltà. Sapeva da prima di fare irruzione in quella camera che si sarebbe trovata contro un nemico armato di fucile e si era quindi automaticamente convinta che non avrebbe potuto concedersi alcuna esitazione nel ridurre la distanza che la separava dal suo bersaglio o avrebbe altrimenti perso ogni speranza di vittoria molto rapidamente. Dato che la decisione è la virtù più importante di ogni buon spadaccino, tossicchiando per la polvere e con gli occhi gialli irritati e pieni di lacrime, Ashara cercò subito di spostare la pistola verso la quarren e di avvicinarsi nel mentre a lei con la spada pronta a trafiggerla, non appena la vide balzare fuori dal suo nascondiglio, ma il fucile di Doris le colpì la mano destra prima che potesse sparare una terza volta, costringendola a muovere il gomito dolorante come non si sarebbe aspettata di dover fare. Lanciò un feroce urlo "di battaglia" e lasciò cadere a terra la pistola, mentre la sinistra abbassava momentaneamente e involontariamente la spada del poco che bastava perché Doris non si infilzasse contro di essa ma gliela premesse invece contro, rendendola del tutto innocua. In quella situazione, ogni massassi degno di appartenere alla sua casta avrebbe cercato di indietreggiare per poter ristabilire la giusta distanza con il proprio nemico e così Ashara indietreggiò, ma in quella camera che non conosceva affatto, trovò immediatamente dietro di sé il letto - e si sarebbe fermata senza caderci sopra, se solo la quarren avesse smesso di spingerla. Così non fu. Cadde sul letto con il fucile dell'altra premuto contro il petto e a braccia aperte, per evitare che la spada potesse rimanere intrappolata tra lei e quella decadente barbara vagamente umanoide che si stava inaspettatamente difendendo fin troppo bene. Emise un altro urlo, perché aveva deciso di usare il braccio ferito per tentare di abbracciare Doris e premerla contro di sé, mentre cercava disperatamente di tagliarle la schiena con la spada che teneva nella sinistra - ma non poté trovare un angolo d'attacco efficace, dal momento che aveva il lunghissimo fucile dell'altra premuto contro entrambe le spalle. Intanto, il cappuccio le era scivolato un poco indietro e il lembo di mantello che le nascondeva il volto si era slacciato, mostrando il viso dall'incarnato scarlatto, contratto in una smorfia di dolore, della guerriera, reso strano da una serie di tre lunghe protuberanze ossee, la più definita delle quali iniziava sopra le altre due, nel punto in cui gli altri umanoidi generalmente avevano gli zigomi, e continuava oltre il bordo esterno degli occhi di un giallo brillante fino alla base delle orecchie, le cui punte erano ancora nascoste dal cappuccio. I denti erano di un sano color giallo, i canini particolarmente appuntiti. Sbuffava e ringhiava, poco educatamente.

    Edited by Balenuvola - 16/2/2024, 02:02
     
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    'Beh... ciao?'
    Tra tutte le cose che la sua mente poteva ragionevolmente pensare in quel momento scelse 'L'ultima volta che ho avuto un contatto fisico così stretto, avrò avuto dieci anni'.
    Tra tutto ciò che aveva da fare, tra cui salvarsi la vita, la priorità fu data a un non trascurabile livello di imbarazzo, mentre gli occhi concentravano qualche denso secondo nell'osservazione ravvicinatissima del collo e del viso di...
    Una donna. Sicuro.
    ... Una sith? Meno sicuro.
    Un più valido motivo per una esitazione comunque indesiderata, gli occhi celesti attraversati da una crepa di dubbio.
    Una delle razze in cui si realizzava meglio il paradosso dell'elusività accompagnata dalle leggende della pettegola Galassia, quell'enorme macchina cantastorie che ne amava alcune in modo particolare e non permetteva che la loro fiammella si estinguesse.
    Le sue conoscenze razziali non le permettevano di fare confronti e giungere a soluzioni subitanee, le pareva che quelle placche laterali del viso appartenessero anche a un'altra razza, inoltre quella donna aveva lineamenti... fini.
    Niente a che vedere con i sith bruttoni le cui immagini arricchivano i vecchi holo su cui aveva studiato (male), o forse era solo che quelle immagini sbaragliavano tutte le altre, che sicuramente non mancavano, raffiguranti sith ibridi dall'estetica meno sconfortante.
    Beh, doveva ringraziare quel bel faccino, se no chi si sarebbe ripreso da quel colpo? Altri istanti persi, e poi sarebbero stati cavoli amari.
    Nel frattempo aveva cercato al meglio di stabilizzarsi sul materasso puntellando almeno una delle ginocchia, anche se la saldezza vacillava a causa del ribollire della donna.
    Le leggende sith che non morivano... che non venivano lasciate morire... dalla Forza.
    'Dannazione!'
    Per compensare quel vuoto decisionale che, se non fosse stata una ragazza sfacciatamente fortunata, le avrebbe già garantito un viaggio di sola andata per altri reami meno solidi, diede nuova energia al blocco del fucile orizzontale che slittò dallo sterno al collo della presunta sith, andando ad attaccare direttamente il respiro, il perno effimero per l'intera infrastruttura di forza di un individuo, una pressione su cui si sforzò finché non disse, con voce smorzata dalla difficoltà della situazione - Dove li hai lasciati i tentacoli?
    Infatti da ragazzina, la prima volta che aveva visto l'immagine di un sith, aveva notato solo quelli, un elemento in comune.
    Sperava che l'avversaria tentasse una risposta pungente, perché Doris lo sapeva bene, infilare risposte pungenti prospettava un colmo di soddisfazione a volte irresistibile.
    A quel punto avrebbe allontanato il fucile e consentito il respiro, ma solo per sferrare un ulteriore colpo al mento nell'intento di farle magari mordere la lingua e guadagnare tempo, stordendola, in quanto poi le era venuta quest'idea balzana di spostarsi rotolando a sinistra... sulla spada di lei... sì, proprio la spada. La spada che aveva impregnato il suo fianco di un crescente pericolo che non poteva più essere sopportato.
    Dopotutto sciogliersi da quella posizione - che aveva predisposto per sé tutta da sola... - sarebbe risultato lento e goffo nel migliore dei casi, un disastro nei casi restanti.
    Credette di sentire il filo di lama scivolare su un gluteo e un vago dolore...?
    Che mutande stava indossando? Non ricordava...
    Con uno slancio per rendere la sua traccia nebulosa davanti alla finestra e al cecchino in attesa, si schiacciò contro il muro accanto all'arco che dava sul corridoio-ingresso, a filo con quella che sospettava essere l'inquadratura del cecchino, il quale avrebbe dovuto brevemente riaggiustarsi per evitare di sprecare il colpo o avere danni collaterali.
    Da lì mirò e sparò al pc in dotazione della Repubblica, lo schiocco del materiale perforato brutalmente, l'aria frizzante degli ultimi spasmi elettrici che furono l'eterno, frivolo sipario su quel virtuoso rock... spettacolo finito, signore e signori, si svuotino le sale... e anche di corsa, gentilmente!
    Il rinculo si era sentito e l'aveva leggermente portata verso le minacce, quella che era un filo invisibile e micidiale e quella vicina, non più stesa sul letto... un punto interrogativo rosso che cresceva, piacendo a Doris sempre meno...
    ...nonostante potesse costituire la grande news da lanciare al suo ritorno da quella missione su cui non erano stati scommessi nemmeno due spicci.
    Il suo pesante, succoso tesoro.

    Edited by Proper - 1/3/2024, 15:51
     
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    Dal canto suo, la sith non provava alcun imbarazzo, ma essendosi la situazione evoluta molto diversamente da come aveva previsto e in modo da rendere la sua esperienza quasi del tutto inutile, stava cominciando ad avere più di qualche problema a controllare la rabbia. Si fece prendere dall'odio per la barbara contro la quale stava combattendo; dall'odio per la stanza; per l'edificio; per la città; per il pianeta e anche per l'hutt che l'aveva assunta. Odiava però di gran lunga più di ogni altra cosa il cacciatore di taglie appostato nell'edificio vicino, che si stava rivelando con sempre più evidenza un completo imbecille. Cosa stava aspettando a sparare?

    Notò che la sua nemica sembrava molto più tranquilla di lei, cosa che la fece arrabbiare ancora di più. Cercava di liberarsi con colpi di reni improvvisi e aveva iniziato ad agitare le gambe, cercando di usarle per spingere la quarren di lato, ma quest'ultima le schiacciò il fucile contro la gola, cosa che le permise sì di muovere un po' più liberamente le braccia, ma le fece anche mancare improvvisamente il respiro. Sgranò gli occhi gialli e iniziò a rantolare, invece che ringhiare, mentre il braccio destro andava a tentare di aiutare le gambe, riuscendo però soltanto a procurarle nuove fitte di dolore, e il sinistro si allungava per trovare finalmente lo spazio necessario per calare davvero e definitivamente la spada sulla propria nemica. La presa in giro dell'altra la stupì molto. Strinse i denti «Devono stare... i pesci... in silenzio...» ribatté un po' pateticamente, con voce soffocata e viziata da uno strano accento. Il viso aveva cominciato a diventarle di un rosso più scuro. Attaccò proprio nel momento in cui la quarren balzò contro il muro, mancandola, e, non appena se ne rese conto, si alzò di scatto a sua volta, per poi sussultare al suono del colpo di fucile e sbirciare il computer. Perché la nemica aveva sparato al computer e non a lei? Non la considerava degna? Serrò le labbra e ringhiò. Aveva sbagliato tutto, ma poteva ancora scagliarsi verso l'altra e infilzarla, o morire nel tentativo. Ora era imbarazzata, oltre che arrabbiata e dolorante.

    Si avventò su Doris con la spada puntata verso di lei, ma finì così per intercettare il colpo che da qualche secondo il cacciatore di taglie appostato nell'edificio vicino stava riservando alla quarren, che la colpì alla spalla sinistra. Le cadde la spada di mano e evitò per un soffio di inciampare rovinosamente, ma solo per finire in ginocchio, come se avesse perso tutte le proprie forze «Vinci tu... pesce...» rantolò, gli occhi sbarrati e anche vagamente terrorizzati, su un viso ormai più rosa che rosso «Sono debole. Indegna. Finisci me... poi uccidi quello con fucile...» la voce era colma di rammarico. Si era un poco raddrizzata, ma la gamba destra decise di smettere di sorreggerla e quindi finì per cadere del tutto a terra. Sbatté la testa contro il pavimento. La ferita sulla spalla emetteva un lieve filo di fumo, ma la sith non era ancora morta, perché mormorò un altro «Uccidi» se doveva morire, tanto valeva fosse la barbara a finirla. Il dolore stava diventando troppo forte da sopportare e la quarren si era battuta bene... era sicura che sarebbe riuscita a vendicarla, anche se involontariamente.
     
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    Non le sarebbe dispiaciuto morire. Sarebbe stata una novità. Non temeva neanche il dolore, con il carattere che aveva, non lo temeva per fargli un dispetto. Ma niente ancora per quel giorno.
    La donna che l'aveva aggredita era fuori gioco e non c'era granché di empatia in circolo nella quarren, ma lo spettro delle emozioni era sfumato in quel crepuscolo che sempre la faceva dannare invocando stati d'animo neri o bianchi.
    Dottore, sto male! Provo due emozioni insieme!
    Avvocato, sono io la vittima! Provo due emozioni insieme!
    Doveva provare rispetto per chiunque sopportasse la ferita di un cecchino sulla carne. Al contempo non riusciva a classificare la richiesta di morte a seguito di piccole baruffe come quella appena passata (E' dopotutto stata forgiata dalla crescita in mezzo a innumerevoli fratelli NdA), né si sentiva più sicura del proprio ruolo a un livello più generale...
    Lei uccideva solo quelli che non volevano morire, giusto? Non era una prerogativa fondamentale? Come se uccidere in fondo non fosse che una questione di rimettere in riga, di far valere La colonizzazione dell'umiltà. Aspetta che ti rimetto in riga facendosi saltare la testa!
    Sembrava irrealistico che una persona sfondasse un muro e giocasse alla lotta con lei solo per perché in preda a un raptus suicida e la storia fosse destinata a finire così. Scorse una più probabile sorgente religiosa dietro quelle parole. Il sentore di un'esigenza rieducatrice che sfiorò Doris fu probabilmente la cosa che salvò la giovane, in quanto rieducazione escludeva organi sparsi quella e là, almeno in quella parte della galassia.
    - E' la cosa più triste che abbia visto... - dopo il modo in cui suo padre l'aveva sempre trattata.
    Comunque era vero che attirava disperati. Prima Dexen, poi lei. Dove se li sarebbe messi tutti quanti? Una volta in Accademia avrebbe holonettato "Servizi assistenziali" come azione meramente antistress...
    ...Stallo.
    La finestra taceva.
    ...
    Non credeva di aver davvero formulato il pensiero che aveva formulato, e invece...
    - C'è un'opzione...
    Ma non poté finire di formularlo anche a voce, per fortuna, perché delle fievoli voci sorsero al di là del buco nel muro, camminavano, si avvicinavano nel corridoio...
    Una voce soave e lenta - Saranno andati di qua? Questa cena con delitto mi manda tutta in subbuglio. Qualcosa di completamente nuovo... Devo riaggiornare i miei schemi...
    Contrapposto, un vocione asmatico rimbalzava tra le pareti fragili accompagnato da tonfi di passi con cadenza rallentata - Più sorprese. Mi piace... Niente ancora del gruppo... O fa parte dello spettacolo, perdersi? Beh, andiamo avanti e occhi aperti... Comunque, secondo me l'arma del delitto è il laccio emostatico...
    - Mmmmh...
    - Non dirmi niente! So che già sai la soluzione! Ma ti stupiresti, amore, dei modi in cui può essere usato un laccio emostatico al giorno d'oggi... - lo diceva da medico qual era.
    ...Il cucuzzolo di una testa di cereano traghettò il viso di una donna placidamente curiosa nella visuale di Doris e della presunta sith, seguita dal grugno marrone di un besalisk che si portò tutte e quattro le mani alla boccona mentre si strozzava per trattenere il respiro.
    - Ci siamo! Abbiamo trovato la stanza giusta - sussurrò forte mentre le quattro mani scendevano piano - E con una storia imprevedibile... protagonisti del tutto nuovi...
    Doris fece una smorfia da calamaro a cui avessero appena tagliato un tentacolo, lo sguardo corse alla finestra, poi ci corse lei.
    Niente, nessun tasto che promettesse di mutare la finestra con qualche mezzo moderno in uno specchio nero o blindato... solo un filo laterale collegato a un rotolo di lamine in cima.
    Avvicinò le dita goffe della mano libera, tirò piano, tirò forte, cominciò a strattonare come se dovesse azionare da sola, manualmente un cacciatorpediniere, ci si aggrappò...
    E alla fine, dopo vario chiacchiericcio laminato, il rotolo si dispiegò e coprì tutta la finestra e la visuale al cecchino lì fuori. Ottimo.
    Era sicura al 99% che si fosse dileguato, ma con dei civili quell'1%, se non affrontato, avrebbe dato indigestione.
    - Mmmmh - la cereana meditava, gli occhi sottili, poi chiusi, a lungo chiusi, tanto a lungo che forse si era addormentata... e invece no. - Qual è un finale roseo che immagini per questa situazione, mio amor? - Gli stava fornendo un corso di formazione intensivo in intelligenza emotiva.
    Doris fece giusto in tempo a voltarsi di nuovo verso il terzetto che si sentì avvolgere la mano libera in un panettone caldo - la mano del besalisk - e un'altra pezza enorme e calda sulla spalla, entrambe che la tiravano giù con una gentilezza colossale.
    Il besalisk era infatti inginocchiato come se stesse officiando un rito, tra lei e l'avversaria e stringeva entrambe allo stesso modo in quell'abbraccio bibracciuto paternalistico, il cui obiettivo era...
    Mettere la mano di Doris in quella della presuta sith.
    Il volto dell'alieno era una maschera perfettamente replicante la placidità della cereana.
    Doris, tra le altre mille cose, inorridì anche per questo, per il segno manifesto di un legame, una concatenazione tra quei due strambi: 'Tsk, amore!'
    E ora la sua mano era definitiviamente in quella dell'altra, e le loro mani erano schiacciate dalle manone bene intenzionate del besalisk.
    - La guerra nasce dai fraintendimenti...
    E, ironia della sorte, in quel caso era sorprendentemente vero...

    Edited by Proper - 25/3/2024, 14:40
     
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    Il lato positivo dei colpi di blaster è che tendono a cauterizzare le ferite che infliggono; il lato negativo è che, dal momento che sono estremamente caldi, creano lesioni interne molto peggiori di quelle che potrebbe causare un proiettile di metallo. La robusta sith era sopravvissuta all'errore del suo ormai ex capo e non stava perdendo sangue, ma ovviamente non era fuori pericolo.

    Ashara non stava pensando a queste cose, certo, perché il dolore era tale da permetterle soltanto di pensare a confortarsi, anche se naturalmente a modo suo: si stava infatti limitando ad immaginare sprazzi di una morte onorevole per mano di quella guerriera barbara della quale ormai il suo subconscio ingigantiva le qualità e ipotizzava un passato e un futuro di grandi imprese; in fondo, la massassi aveva un disperato bisogno di credere di aver perso per meriti della quarren, più che per demeriti suoi e di quel mai abbastanza maledetto cacciatore di taglie con il fucile. Si convinse che la quarren potesse essere potente abbastanza da uccidere anche l'idiota che le aveva sparato per errore... e forse anche l'hutt che quell'idiota l'aveva assunto come tiratore e aveva relegato invece una massassi come lei al ruolo di carne da macello. Magari li avrebbe uccisi entrambi con la sua spada.

    Ashara chiuse gli occhi e cercò di sorridere, perché una delle sue leggende sith preferite raccontava di un forte massassi che anticamente era morto sorridendo, ma non le riuscì di fare un sorriso minimamente convincente e le venne soltanto una smorfia di dolore un po' più strana della precedente. Non ebbe modo di accorgersi che il suo sorriso non era credibile, mentre attendeva e immaginava il colpo di grazia della barbara. Riaprì gli occhi solo quando sentì la manona del besalisk e quella di Doris posarsi sul palmo della sua coriacea mano destra, vagamente simile al guanto di una corazza. Cosa stava succedendo? Chi era e da dove era arrivato l'altro barbaro? Aveva dormito? Quanto tempo era passato? Udì una voce femminile, che non le sembrò quella di Doris, rivolgersi a qualcuno. Si accorse che stava rantolando, quindi cercò di regolarizzare il respiro, temendo che altrimenti non sarebbe più riuscita a parlare prima di perdere conoscenza. Serrò le labbra e tentò di formare qualche protesta, ma muovere la bocca le risultò difficile. Aveva molta sete.

    Gli occhi gialli della ormai più rosa che rossa sith sbirciarono la mano del besalisk e poi il suo volto «La guerra... io... so soltanto... la guerra...» la voce prima profonda si era fatta flebile. Cercò lo sguardo della quarren «Grande guerriera tu... vittoriosa... onora me. Puoi vincere tu... su lui. Usa tuo fucile... e mia spada...» fece una pausa per prendere fiato «Non tutti... barbari... uguali... tu meglio di lui e di... grasso hutt con i crediti e il cuore di crediti. Cuore di crediti anch'io prima... venduta a hutt per vivere, ma ora... resta onore. Ricorda tu... forte Ashara? Forte...» strinse la mano dell'altra più fortemente che poteva; in pratica non molto, date le sue condizioni. Era certa di non essersi espressa del tutto correttamente, ma era quasi impossibile che la sua ex nemica potesse capire il sith: poteva solo sperare di aver formulato frasi comprensibili.

    Edited by Balenuvola - 23/3/2024, 15:52
     
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    Se ne stava rendendo conto.
    La Repubblica... sbuffava, prima. Roteava gli occhi, incrociava le braccia di fronte a quell'istituzione che la inglobava e la comandava.
    Adesso invece, sempre più evidentemente, la Repubblica la stressava.
    Dieci minuti prima il suo più grande problema erano gli avanzi della pizza sparsi, adesso una donna sconosciuta che aveva provato a strapazzarla ben bene (se non ucciderla) rantolava e le affidava la vendetta.
    Cos'aveva lì?
    Il besalisk aveva scambiato tutto per una messinscena e per poco anche lei non restava ingannata (l'unica luce che proveniva dal corridoio attraverso la strana cornice del muro distrutto creava effettivamente la giusta atmosfera).
    Il contatto marmoreo delle quattro mani impilate fu come il catalizzatore di una riflessione. Partì dal nuovo atteggiamento della sconosciuta, che non era tornato alla rabbia originaria e si era assestato su quella arrendevole conciliazione.
    Ci aveva sperato che riprendessero la baruffa, quella la capiva meglio, lì era più a suo agio.
    No... proprio non ce la faceva. Quando qualcuno le spiattellava la propria vulnerabilità non riusciva a girarsi dall'altra parte (cosa buona) o a starsene con le mani in mano (cosa non sempre buona).
    Le aveva praticamente messo sul piatto tutta una vita trasudante desideri nella forma di poche frasi spezzate... Non era giusto. Ora Doris era incatenata. Ora lo sentiva anche lei quel nucleo, e quando lo sentiva, doveva combattere ciò che lo minacciava.
    Non si agitava più, prese un respiro che, per quanto fu massiccio, le arrivò alle spalle.
    - No... no, cara... Qui nessuno uccide nessuno, credo... Ti serve solo un'altra prospettiva... Può essere un pugno nello stomaco, ma sempre meglio della morte, credo...
    Il besalisk stava piangendo, mentre la cereana se n'era andata alla ricerca della stanza-palco successiva perché bisognosa di nuovi input intellettuali.
    Non aveva idea di cosa stesse facendo. Non aveva idea di nulla. C'era un chiaro punto lampeggiante d'interesse nell'hutt appena nominato, il mandante. E poi una sfilza di punti interrogativi che si perdeva all'infinito... con la domanda principale e cruciale: quantitativamente, come si poteva stimare il problema in cui si era ritrovata? Quanti erano là fuori? Quei bastardi degli ufficiali lo sapevano e l'avevano mandata al macello? La paranoia aveva le sue ragioni. Se era così, c'entrava sicuramente quel fazzoletto sporco del Capitano Donovan.
    - ...E ti serve un medico.
    - Un medico?? - vociò riscuotendosi il besalisk - Io medico! - si era fatto influenzare dai vuoti grammaticali dell'altra e dalla paura, non parlava effettivamente così.
    - Serve ospedal- lo stesso contagio ci fu per Doris, che però non poté finire per l'urto col corpone del besalisk che si era fin troppo riscosso e, rialzandosi, sembrava aver triplicato la propria massa, colpendo Doris con l'arco di un bicipite e mandandola dritta stesa a terra intanto che sollevava la presunta sith come un sacco di patate e, con le sue quattro mani-pagnotte, la faceva piroettare in aria riprendendola sempre in una posizione diversa, così da osservarla da ogni lato.
    Puntellandosi sui gomiti (il fucile mai abbandonato), quello che Doris vide fu la monumentale schiena del besalisk sfondare un altro po' il buco del muro mentre lo attraversava... e lo attraversò urlando come un grido di guerra - Ospedaleeee! - tenendo in braccio la giovane, proprio nel momento in cui appariva nel corridoio una ospite seloniana che, presa in contropiede, fu sbalzata dal terrore verso il soffitto a cui si artigliò... e i passi reboanti del besalisk su cui la giovane ondeggiava, si allontanarono.
    Doris abbandonò la testa indietro in un sospiro e pensando:
    'Io... so soltanto... la guerra...'
     
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    "Nessuno uccide nessuno" - quello che la grande guerriera quarren stava dicendo non faceva per nulla piacere ad Ashara, perché la vendetta sull'indegno vigliacco che l'aveva colpita a tradimento richiedeva necessariamente che la barbara lo eliminasse fisicamente, magari mentre implorava pateticamente pietà «Pugno... meglio di morte?» rantolò spaventata, non capendo perché la quarren volesse prenderla a pugni invece di darle subito il colpo di grazia; forse non la considerava degna? Che i due cecchini fossero d'accordo dall'inizio? No, impossibile, l'altra non sembrava volerla uccidere, anzi ora stava cercando un medico per lei, cosa che il grosso barbaro con quattro braccia sorprendentemente era o diceva di essere. L'altra voleva forse darle un pugno nello stomaco e poi prenderla prigioniera? Nello stato di semiveglia in cui si trovava, decise che doveva essere così. Non arrivò nessun pugno, ma il besalisk la prese e se la rigirò tra le manone come la pasta di un grande pane piatto. Sgranò gli occhi e, nonostante volesse ancora sembrare stoica, si lasciò sfuggire qualche gemito di dolore. I due volevano torturarla? «Gh... attento... barbaro montagna...» voleva suonare minacciosa, ma riuscì solo a apparire dolorante. E quando l'omone partì verso l'ospedale, trasalì, presa da una terribile preoccupazione [sith] «Spada» disse in sith, per poi chiudere gli occhi e raccogliere tutto il fiato che aveva per alzare la voce, stavolta in basic «Spada!» disperata. Se Doris non aveva intenzione di usare la sua spada per vincere, l'avrebbe voluta indietro, anche se probabilmente la quarren non avrebbe più voluto restituirgliela, ora che l'aveva presa prigioniera. Perse i sensi qualche passo di besalisk più tardi.
     
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    Doris che si tirava in piedi, che ascoltava la pressante richiesta. Fissò la spada, la sollevò dal pomo e si spostò nella luce del corridoio, dove il carro armato del besalisk sbalzava via qualunque ospite, con uno spicchio del viso e il braccio della donna rossastra che spuntavano.
    Cedere, concedere.
    Quando?
    Mai, o quasi.
    Quadretti felici e riconciliazioni erano stati per così tanto tempo soltanto scenari ai margini, cose che non le si avvicinavano come se lei avesse qualcosa di repellente, che non poteva comprenderli fino in fondo.
    Se un tempo li aveva desiderati con un cuore aperto, che conosceva se stesso, adesso era rimasto un desiderio veloce come uno scrocchio di patatine che aveva perso il suo scopo.
    La difesa, l'attacco e l'analisi di costi e benefici invece avevano scopi forti e delineati. Quando agiva in una di queste direzioni aveva la sensazione di contribuire ancora a un progetto proprio.
    Concedere, aveva imparato, non aveva futuro e Doris non aveva tempo da perdere.
    Salvo quando lo perdeva dietro le richieste repubblicane bislacche e insopportabili.
    Adesso che aveva ceduto per la sicurezza di civili e la cecità culturale di quella donna, doveva riprendere le posizioni note, sull'attenti del suo comandante interiore.
    Quando la sconosciuta scomparve giù nei percorsi dell'albergo intrappolata dal besalisk benefattore, l'ospite seloniana sopra la testa di Doris ancora non aveva mollato il soffitto. Non avrebbe restituito la spada. Un ricavo, un mistero, un'offerta e forse un riscatto visti i fastidi che la sconosciuta le aveva provocato, sebbene quest'ultima non le avesse dato troppo filo da torcere, sebbene quest'ultima le avesse colorato un po' la giornata.
    Non restituire quella spada per non chiudere quella storia.
    Non restituirla per scoprire perché ci tenesse tanto.
    Non restituirla in quel progetto sbilenco di una rete che portasse altri verso di lei, perché loro chiedessero e lei ottenesse.
    O per valutarla da un antiquario o armaiolo.
    O per portarla a suo padre come trofeo di guerra.
    O per affettare il prossimo che l'avesse paragonata a del sushi.
     
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